Essere madre oggi secondo la Psicologia Individuale
Tra teoria e pratica clinica
Secondo la teoria adleriana, la donna costruisce il materno fin dalla sua infanzia: non è solo la capacità innata di farsi carico del bambino, quanto una disposizione alla maternità appresa, maturata e incoraggiata da una madre e da un padre dediti a far crescere il sentimento di comunità nel proprio figlio in modo che lui stesso strutturi una meta creativa che prende avvio già in utero, in quanto capace di costruire quella memoria implicita che è una sorta di imprinting per le buone relazioni future (Ghidoni, 2011).
È opportuno parlare di una madre materna artefice di una specialissima relazione tra madre e figlio, capace di sostenere il conflitto e l’ambivalenza, di rimanere pensante e amorevole, di mantenere il legame con il corpo, con la storia e la cultura per meglio cogliere i bisogni della vita e dare loro risposte. La disposizione alla maternità avrà un’impronta eminentemente soggettiva in quanto mezzo personalissimo di orientamento verso un fine realizzativo e di sicurezza, testimoniando un comportamento critico e vitale di fronte al disagio (Ghidoni, 2011).
Ghidoni (2011) offre un’analisi precisa della condizione di donna e madre oggi perché costretta a mediare e a compromettersi in un mondo socio-affettivo molto ambivalente: da un lato si decanta la centralità donna-bambino nel suo crescere armonico, dall’altro prevalgono imperativi tecnologici sui ritmi naturali.
Il vivere è sempre più ritmato dalla velocità, la famiglia è lo spazio e strumento privilegiato dei consumi. La madre per il figlio sacrifica il suo tempo, il suo corpo, la sua carriera, le sue amicizie e relazioni. In questa dinamica la madre potrebbe accorgersi della distanza del figlio reale con quello che tanto ha idealizzato e atteso, avvicinandosi ad una tale conflittualità che rende oscuro il confine tra bene e male e amore e odio. “Un altro aspetto che rende difficile la realtà della donna-madre è l’isolamento della sua funzione dal sistema famiglia dove può sentirsi sola, responsabilizzata con accanto un paterno che, pur partecipando alle cure e all’accudimento del figlio, resta lontano aumentando ancora di più la disperazione di non sapere leggere i fantasmi della mente le speranze deluse di una realizzazione. La solitudine procura l’ingigantimento delle difficoltà creando distanza dal sociale come spazio di confronto e di integrazione nella comunità. Il nucleo familiare diventa il luogo adatto alla disperazione e alla consumazione estrema della difficoltà” (Ghidoni, 2011).
La maternità implica cambiamenti fisici e psicologici (elaborazione di cambiamenti, perdite e angosce) ma anche una profonda modificazione della percezione di sè e del mondo circostante. La capacità genitoriale si realizza nell’accettazione incondizionata del figlio. Il bambino, da parte sua, esige dal genitore accoglienza e compartecipazione emotiva (Fassino, 2002). La dedizione al figlio corrisponde al bisogno nel bambino di tenerezza primaria, costituita dalla necessità di essere accolto totalmente e incondizionatamente da una mamma disponibile, capace di indurre il bambino a cooperare con lei (Adler, 1931).
Non sempre, tuttavia, la donna affronta la maternità con le risorse necessarie: “ogni madre sa che il compito materno comprende gioie e sacrifici rilevanti in termini psicologici ed emotivi e molto spesso affronta da sola situazioni emotive contrastanti e faticose che non trovano parole per essere raccontate” (Ferrero et al., 2011).
Secondo la Psicologia Individuale, indipendentemente dalla condizione psicologica della madre, la nascita di un figlio rappresenta un momento cruciale dell’esistenza, anche per la primaria rilevanza che tale esperienza assume non solo per la madre ma anche e soprattutto per il bambino. “La maternità contribuirà infatti a determinare uno squilibrio profondo nell’assetto mentale della donna, che si ricomporrà quando la madre (e i genitori) sperimenterà il bambino come altro da sé. L’accettazione dell’altro è dunque intesa non solo come atto cognitivo ma configura un processo più primitivo che fa riferimento alla capacità di tollerare il nuovo limite all’individualità imposto dal confronto con il proprio figlio. Se di fronte alla separazione fisica che interviene con il parto la madre guarda esclusivamente alla mancanza psicologica e biologica, questo non le consentirà di elaborare la perdita, viceversa il riconoscimento del confine le consente di tollerare l’incertezza e di impegnarsi alla ridefinizione di se stessa a partire dall’identificazione di un proprio limite. La relazione materna, pur mantenendo il suo carattere imprescindibile contribuirà a strutturare in modo non deterministico la personalità del bambino, che a partire da una dotazione originaria, svilupperà creativamente una specifica individualità, un proprio mondo intrapsichico e una propria realtà soggettiva” (Ferrero et al., 2011).
La maternità è un’esperienza unica e irripetibile, ma nello stesso tempo è una condizione di crisi in cui si attraversa un profondo squilibrio dal quale nasce un nuovo assetto interiore. Secondo Deutsch (1945), l’impegno necessario ad affrontare i complessi compiti relativi all’esperienza genitoriale può anche solo temporaneamente superare le risorse e le capacità adattive della madre, inducendo in lei possibili forme di scoraggiamento; altre volte può far emergere angosce profonde che si configurano in una sofferenza psicologica codificata in senso psicopatologico. È infatti possibile che la donna affronti la gravidanza gravata da alcune situazioni di conflitto psicologico che emerge da fattori emotivi legati alla maternità o ad una condizione generale; viceversa determinati processi organici della gravidanza possono provocare atteggiamenti emotivi specifici, riconducibili a dinamiche profonde, anche non ascrivibili alla gravidanza stessa.