Conoscere e far conoscere: la Narrazione

ABILITA' IMPRESCINDIBILE PER L'UOMO, RISORSA FONDAMENTALE IN TERAPIA

Esiste uno strumento fondamentale, trasversale all’evoluzione del genere umano, allo sviluppo della personalità di ciascun individuo e perfino alla relazione terapeutica: la Narrazione.

In che modo la capacità di raccontare le storie ha influenzato il nostro passato?  Come può contribuire a (ri)plasmare la nostra prospettiva futura?

Lo sguardo di questo articolo si posa e vaga su ciò che permette di condividere, perché la narrazione è proprio questo: la capacità di raccontare un mondo attraverso una storia. Esploreremo dall’alto il mondo della narrazione, a volo di uccello, al fine di intuirne la rilevanza.

L’interrogativo da cui prendono forma queste righe è il più classico che possa sorgere quando ci si appresta a raccontare qualcosa: da dove partire?

È curioso come in alcuni casi le domande contengano al loro interno le loro stesse risposte. I punti interrogativi possono altrimenti offrire indizi, una mappa, un primo passo. Le domande possono essere l’inizio di una storia.

Da dove partire quindi a indagare “la storia delle storie”? Quando ci si trova di fronte a un compito complesso e articolato, indecisi su quale prospettiva assumere per osservarlo, è utile scegliere un punto certo: partire dall’inizio.

L’Uomo e la Narrazione

La narrativa è una costante peculiare umana: fin dagli albori della civiltà, dagli sguardi rapiti dei bambini illuminati dai bagliori del focolare, intenti ad ascoltare le storie degli anziani, alla sgargiante industria del cinema nella Hollywood del nuovo millennio, la capacità di raccontare ha contribuito in modo determinante allo sviluppo dell’umanità. Un recente studio condotto da ricercatori dello University College di Londra ha confrontato i dati raccolti fra gli Agta, una tribù di cacciatori e raccoglitori delle Filippine, con dati emersi da altre tribù simili: i risultati sottolineano il ruolo della narrazione nel promuovere la cooperazione all’interno del gruppo sociale; è stato inoltre rilevato come i narratori più abili abbiano una reputazione sociale più elevata e un maggiore successo riproduttivo!

Dal progresso dell’umanità intera spostiamo ora il nostro sguardo su un’altra linea di crescita influenzata in modo cruciale dalla narrazione: Lo sviluppo individuale. L’abilità di raccontare storie è una fondamentale acquisizione nello sviluppo dell’essere umano come individuo. Se indaghiamo l’etimologia della parola narrare, scopriamo che essa deriva dal latino “gnarigàre”: la radice “gnâ” richiama il “conoscere”, mentre “igàre” indica un’azione; l’unione delle parti porta al significato di “conoscere e far conoscere raccontando”. Il bambino all’incirca dai due anni di età produce monologhi che, per quanto possano risultare disarticolati e divertenti ad un orecchio adulto, rappresentano un esercizio che esprime la sua naturale tendenza allo sviluppo della capacità narrativa; il fine è dare ordine, coerenza e significato agli eventi della sua vita.

Questo processo evolutivo raggiunge la sua completezza verso i 5-6 anni: il bambino diviene abile nel raccontare le storie utilizzando propriamente le regole tradizionali degli adulti. Il racconto acquisisce struttura e coerenza, il bambino diviene capace di caratterizzare i personaggi nel dettaglio, fino ad attribuire motivazioni ai loro vissuti interni; il bambino dimostra in questo modo lo sviluppo di una personale teoria della mente.

Il pensiero narrativo sviluppato in questo processo consente al bambino di creare e organizzare la storia più importante di tutte: la sua. Attribuire ordine e causalità agli eventi che si succedono consente il raggiungimento di una stabilità psicologica che a sua volta permette di riconoscersi come uno stesso individuo nonostante il variare degli scenari: assistiamo al processo della formazione del Sé.

Disse il filosofo P. Ricoeur: “La comprensione che ognuno ha di se stesso è narrativa: non posso cogliere me stesso al di fuori del tempo e dunque al di fuori del racconto; tra ciò che sono e la storia della mia vita c’è una equivalenza. In questo senso, la dimensione narrativa è costitutiva della comprensione di sé.” (“La componente narrativa della psicanalisi”, 1988).

Formare e Trasformare

Tirare le somme di questa breve panoramica ci consente di affermare l’importanza degli aspetti evolutivi e sociali della narrazione e intuirne lo stupefacente potere creativo. La narrazione è dunque uno strumento indispensabile all’essere umano per la strutturazione del Sé e per la sua organizzazione; è fondamentale nel dare significato agli eventi in modo condivisibile con gli altri. Questi significati condivisi tramite la narrazione contribuiscono in modo determinante all’organizzazione delle società.

La consapevolezza delle potenzialità della narrazione si concretizza in un efficace trait d’union che permette di accostare la narrazione a un’altra dimensione, dal potere formativo a quello trasformativo: la relazione di cura.

Le parole sono connesse indissolubilmente al nostro mondo interno nello stretto rapporto che unisce il linguaggio al pensiero. A partire dagli anni ’70 è fiorito l’interesse per le storie e la narrazione in Psicologia, in ambito clinico così come nella psicologia evolutiva. Autori come J. Bruner, Glenn, Stein e Ricoeur si sono dedicati approfonditamente allo studio della narrazione, apportando contributi fondamentali, sviluppando concetti quali il “pensiero narrativo” e l’“identità narrativa”, teorizzando le proprietà e il ruolo nella costruzione del Sé della narrazione e il suo potere di dare significato all’esperienza; come scrisse Adler: “noi non sperimentiamo mai fenomeni puri e semplici, ma sperimentiamo sempre dei fenomeni in rapporto al significato che essi hanno per gli uomini”(“What Life Should Mean to You”, 1931).

La Narrazione e La Psicoterapia

Ma qual è il rapporto tra la narrazione e la pratica psicoterapeutica?

Il rapporto tra relazione terapeutica e narrazione è molteplice e diffuso; certamente queste poche righe non pretendono di definirne in modo esauriente i vari aspetti; andiamo invece alla ricerca di spunti salienti che possano favorire il ragionamento.

Se riflettiamo sulla relazione psicoterapeutica ci accorgiamo che essa stessa trova la sua sostanza nel racconto: nel contesto di una seduta, infatti, il paziente porta dei sintomi raccontandoli attraverso una storia. Si può intendere la psicoterapia come una co-costruzione di una storia in grado di aprire ad ulteriori storie; questo approccio tecnico ha pervaso la pratica terapeutica nel tempo, si pensi ad esempio alle associazioni libere di S. Freud. L’approccio del terapeuta al lavoro con il paziente e alle storie che egli racconta non deve focalizzarsi sul contenuto di esse quanto sulle modalità con le quali vengono raccontate. Occorre indagare la capacità del paziente di verbalizzare il suo essere, le motivazioni della preferenza di una modalità narrativa rispetto a un’altra, la scelta di raccontare determinati accadimenti e tralasciarne altri, fino alla dimensione del “non detto”, del non narrato.

Cos’è il disagio riferito dal paziente se non una storia con una propria trama e una propria organizzazione? Prendiamo in prestito le parole di grandi autori in vari ambiti per sviluppare questo concetto, quasi a sottolineare la trasversalità della narrazione. Lo scrittore Gabriel Garcia Marquez nella sua autobiografia (“Vivir Para Contarla”, 2002) scrisse: “la vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”. Erving Polster, nell’ambito della psicologia della Gestalt, asserisce che la vita di ogni persona può essere vista come un romanzo e che la scoperta di questa analogia avrebbe un intrinseco potere terapeutico (“Every Person's Life Is Worth a Novel”, 1987). James Hillman, psicologo e analista Junghiano afferma che “L’intera attività terapeutica è in fondo questa sorta di esercizio immaginativo che recupera la tradizione orale del narrare storie: la terapia ridà storia alla vita" (“Healing Fiction”, 1984).

La narrazione consente quindi di accedere al vissuto di malattia del paziente. Lo scopo della relazione terapeutica è dunque quello di sviluppare una “storia di cura” condivisa. Occorre indagare le caratteristiche della modalità narrativa del paziente: la coerenza, l’armonia, la trama. In un lavoro congiunto si valuta quanto la narrazione del paziente sia adattiva; dove e per quale motivo sia opportuno ricercare dei cambiamenti.

La narrazione permette di comprendere la pluralità delle prospettive che intervengono nel disagio psicologico, la capacità di modificare il puto di vista riguardo alla propria storia è una acquisizione terapeutica importante. È altresì fondamentale mantenere la consapevolezza della dualità della relazione: le domande che si pongono al paziente ne modificano inevitabilmente la narrazione; occorre dunque usufruire di questa imprescindibile caratteristica a vantaggio della relazione di cura, guidando e accompagnando la narrazione del paziente nel contesto di un coerente e adattivo percorso condiviso, al fine di co-costruire una possibile trama alternativa, scrivendo insieme l’inizio di una nuova storia.

Alessandro Torelli, psicologo

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai alla sezione Cookie Policy