Complessità sociali, crisi economica, futuro incerto perché scegliere di formarsi nel campo della psicoterapia

Perché è importante non rinunciare al sogno della psicoterapia

Il testo contiene riflessioni sugli effetti delle criticità della situazione attuale che rischiano di spegnere le speranza nelle possibilità future e rinforzare atteggiamenti pessimistici.
Gli scenari socio - economico attuali stanno facendo emergere nuovi bisogni di cura psichica; è quindi importante investire su percorsi formativi che preparino psicoterapeuti capaci di operare con efficacia.

La crisi economica iniziata qualche anno fa ha progressivamente eroso il livello di benessere materiale e il senso di sicurezza che permetteva di vivere in un clima di relativa tranquillità e di fiducia nel futuro. Tale clima sembra oggi un solo un ricordo, come pure l’attitudine a progettare, a dedicarsi a imprese di ampio respiro e a tollerare tempi lunghi per ottenere i risultati attesi. L’evoluzione complicata della situazione socio economica ha generato sfiducia; il pessimismo è dilagato e gli occasionali messaggi di speranza si dissolvono rapidamente, sovrastati dal sopraggiungere di notizie poco rassicuranti. Si è così imposta l’attitudine a dedicarsi a progetti di breve respiro, con la ricerca dei risultati immediati. Questo procedere è certo mosso dal bisogno di certezze, ma non deve sfuggire il rischio di adattarsi a percorsi improduttivi. Le cose buone hanno bisogno di tempo e pazienza per essere costruite, come ben ci suggerisce la natura che non accorcia mai l’intervallo tra la semina e il raccolto. 

In questo clima socio culturale quale spazio ha la logica della formazione alla psicoterapia che, come è ben noto, si snoda su tempi lunghi? La formazione, istituzionalmente organizzata in un quadriennio, è a rischio di cascare sotto il cono d’ombra della sfiducia nel futuro e del pessimismo. Si può pensare che i giovani psicologi e medici, animati dalla passione di voler diventare psicoterapeuti, restino influenzati dal clima dominante e siano indotti a rinunciare a un progetto formativo che, per sua natura, porta soddisfazioni e risultati in tempi non brevi. Si deve però dire che lasciarsi contagiare da visioni pessimistiche e rinunciare a costruire il proprio futuro è un errore. Quest’affermazione non è riferibile al solo ambito psicologico; ha valore per tutti i percorsi formativi che i giovani possono oggi avere di fronte. 
Vi sono validi motivi per cui si può affermare che l’esperienza formativa è sempre un bene prezioso che non bisogna trascurare. Sostengo quest’affermazione perché in più di trent’anni di professione come psicoterapeuta ho visto molti colleghi che si sono avvicinati alla psicoterapia; quelli che si sono dedicati con passione allo studio, con responsabilità nel lavoro, e con spirito di sacrificio e umiltà nel volersi sempre migliorare hanno costruito il loro successo. Ho trovato vera e mi è spesso tornata in mente una semplice frase che il prof. Ugo Fornari, allora Direttore dell’Istituto di Psichiatria Forense dell’Università di Torino disse durante un seminario. La frase suonava così: “chi sa fare non resta senza lavoro”. Negli anni ne ho sempre constatato la veridicità. Ma che cosa significa “chi sa fare”? La domanda, se la si esplora con attenzione, è ingannevolmente semplice ma rappresenta uno stimolo importante perché “chi sa fare non resta senza lavoro” anche in tempi difficili. Come quelli che stiamo vivendo e abbiamo di fronte. 

Vorrei tentare di offrire qualche spunto di riflessione intorno allo psicoterapeuta “che sa fare”. Certo l’idea che il “saper fare” dello psicoterapeuta coincida con la padronanza delle tecniche diagnostiche e terapeutiche nonché con la capacità di applicarle alle diverse relazioni di cura resta il punto imprescindibile. Ma non basta. “Il saper fare” oggi, dati i tempi difficili, deve essere qualcosa di più ampio: deve prevedere la capacità di collocarsi nel tessuto sociale come propositore attivo nel campo della prevenzione, della ricerca e dell’evidenziazione di percorsi che diano risposte a bisogni emergenti. La formazione deve quindi interessarsi a formare non solo uno psicoterapeuta tecnico, ma uno specialista capace di affrontare la professione con passione, impegno sociale e propositività. Bisogna formarsi per andare incontro alla realtà e non cedere alla passiva attitudine dell’attesa. 
Tra gli ingredienti che mi sembra importante suggerire nella ricetta del “saper fare” metterei questi temi: vivere e affrontare le complessità, coniugare flessibilità a correttezza, far emergere bisogni psicologici latenti, sviluppare il pensiero progettuale, proiettarsi nella società multiculturale e la cura costante della propria crescita personale. La formazione deve quindi interessarsi a sviluppare, accanto alla dimensione tecnica, un modo di essere. Suggerisco qui di seguito solo qualche spunto per riflettere e avviare un dialogo con chi lo desideri.

Vivere e affrontare le complessità.

Nel modo corrente la nostra mente funziona alla continua ricerca del “definito”. Quando la realtà è ben categorizzata, tracciata secondo confini certi, proviamo un senso di sicurezza. Le mappe, di qualsiasi natura esse siano, ci danno certezze e le tracce orientative aiutano a non dover ripartire sempre da capo. La scuola, l’università, il mondo delle organizzazioni ha allenato e continuamente rinforza questo dispiegarsi del pensiero che analizza, categorizza, definisce. Nulla da dire su quanto importante sia il far funzionare bene il pensiero razionale, ma i tempi di crisi portano complessità che vanno affrontate ed esplorate con un altro genere di pensiero. Cercare le soluzioni entro i binari noti, percorrendo strade abituali impedisce di intravvedere le opportunità nascoste sotto le complessità stesse. Lo sviluppo del pensiero divergente, creativo, capace di cogliere nuove configurazioni - pur non contrastando con il pensiero corrente, di natura convergente - deve essere una risorsa per affrontare le complessità.

Coniugare flessibilità a correttezza. 

Apprendere con correttezza le tecniche specifiche di un certo ambito di attività (che per lo psicoterapeuta si identifica con l’operare diagnostico e terapeutico) non deve essere accompagnato da un pensiero applicativo rigido (nel nostro caso la sola cura rivolta a pazienti che hanno perso il benessere psichico). Le tecniche apprese nel percorso di formazione alla psicoterapia devono essere interiorizzate con un corretto grado di flessibilità che permette, con i dovuti accorgimenti, di applicarle anche in altri ambiti di attività. Un solo esempio: imparare bene a fare la diagnosi, con attento studio della testistica, rende possibile, con le dovute integrazioni concettuali, lavorare in ambito giuridico. Le perizie altro non sono che diagnosi specifiche, orientate a rispondere a quesiti precisi.

Far emergere bisogni psicologici latenti

Nella società in generale, nelle organizzazioni produttive, nei gruppi di volontariato, nelle famiglie e nello stesso individuo esistono bisogni psicologici latenti che vanno fatti emergere. L’evidenziazione di nuovi bisogni offre la possibilità di dar vita a progetti di intervento per soddisfare i bisogni stessi e, per lo psicoterapeuta, applicare le proprie conoscenze e le proprie tecniche. Un solo esempio: esistono organizzazioni che espongono i propri collaboratori a situazioni stressanti, che suscitano forti emozioni, potenzialmente traumatiche. (si pensi, ad esempio, ai soccorritori di fronte a scene di incidenti gravi). Si tratta di stati dell’animo che possono generare difficoltà e, specie se provate più volte, dovrebbero essere elaborate in appositi incontri. E’ però frequente constatare che nessuno si preoccupa della salute emotiva dei soggetti messi a rischio che devono autonomamente gestire gli stati d’animo che possono, nel tempo, minare la loro stabilità emotiva. Lavorare sulle emozioni traumatiche o potenzialmente tali, è parte del corredo tecnico dello psicoterapeuta.

Sviluppare il pensiero progettuale

L’atteggiamento passivo, di attesa di essere coinvolti in lavori che valorizzino la professione della psicoterapeuta è perdente. E’ necessario sviluppare l’attitudine a fare progetti: questi devono essere realistici ed essere realizzati grazie a competenze effettivamente possedute. Si possono fare progetti in molti ambiti, laddove si profila la possibilità di migliorare le condizioni di vita di individui, famiglie o organizzazioni. Un solo esempio tra i molti che in questi anni è capitato di seguire: le famiglie che hanno un figlio portatore di qualche handicap sono in genere molto assorbite dal sostenere il figlio in difficoltà. In queste condizioni i fratelli e le sorelle affrontano difficoltà che di fronte a quelle più grandi nell’area dell’handicap sono minimizzate o poco riconosciute. L’esperienza ha però dimostrato il grande bisogno di un aiuto psicologico che hanno fratelli o sorelle di un bimbo portatore di handicap. Ma su bisogni pochissimi fanno progetti di intervento.

Proiettarsi nella società multiculturale

È indubbio che la nostra società va orientandosi verso forme di multiculturalità che diventeranno sempre più significative. La grande attenzione all’ambiente data dalla teoria adleriana guarda con grande interesse allo sviluppo di questi orientamenti. Ogni gruppo etnico ha una sua specifica visione del mondo e le forme di disagio emotivo che un membro di un tale gruppo può esprimere ha le sue radici nell’orientamento emotivo di quella specifica cultura. Non è difficile pensare che nel prossimo futuro pazienti di altre nazionalità, di altre culture siederanno di fronte agli psicoterapeuti e porteranno configurazioni problematiche a ci è necessario formarsi fin da ora. Sarà di certo un campo di lavoro futuro che la psicoterapia deve prepararsi ad affrontare.

Cura costante della propria crescita personale

Il sale che rende tutta la ricetta appetibile e meritevole di essere applicata è l’attenzione alla crescita personale. La professione dello psicoterapeuta differisce da tutte le altre professioni che non richiedono un lavoro su di sé tanto costante e approfondito. Molte dimensioni della cura passano dalla persona stessa dello psicoterapeuta molto di più che dalle tecniche che applica. Ma lungi dall’essere un peso questa dimensione può dare vivacità, interesse e motivo per alimentare la passione nel sentirsi psicoterapeuta e non solo fare lo psicoterapeuta.

Giansecondo Mazzoli

 

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