Alcuni capisaldi della teoria di Alfred Adler

Le vicende che portarono Adler a rompere il sodalizio con Freud sono piuttosto articolate; può essere interessante in queste note, che hanno l’obiettivo di favorire la presa di contatto di alcuni aspetti della Psicologia Individuale, richiamare l’impostazione di fondo che differenziò Adler da Freud per poi segnalare alcuni capisaldi della teoria che sono emersi dal modo diverso e originale di guardare ai dinamismi psichici.

 

Adler non aveva in simpatia il determinismo che Freud sosteneva e le tecniche terapeutiche che derivavano da questa visione. Piuttosto che centrare l’attenzione sui condizionamenti derivanti dalle esperienze infantili da cui non era facile liberarsi, Adler si orientò verso una visione teleologica: trovava che considerare l'uomo un essere capace di darsi delle mete che lo orientano verso il futuro, gli consentiva di operare in modo più efficace nella cura dei disturbi psichici. Ovviamente Adler non rifiutava in toto l’idea delle esperienze condizionanti; considerava però più utile esplorare le mete che orientano ì’uomo a darsi dei progetti da realizzare. L’aspetto interessante è che Adler non pensava alle sole mete coscienti; teorizzo l’esistenza di mete inconsce, emotivamente potenti e in grado di interferire con l’esperienza cosciente. Alla base di tanti disturbi, Adler intuì le mete perseguite e diede quindi vita a una tecnica terapeutica che differiva da quella proposta dal determinismo di Freud.

Non si può dire che Adler ereditò da Freud l’interesse per l’infanzia, delicata fase della vita dove si gettano le basi per costruire l’edificio della personalità. Entrambi cercarono di capire il formarsi della mente nella relazione iniziale con la madre e, negli anni successivi, con la famiglia nella sua globalità. Da questi scenari Adler sviluppò un’ottica originale: mosse dalla constatazione che l'essere umano, a differenza di tutti gli altri mammiferi che popolano la terra, resta per lungo tempo in una condizione di dipendenza dalle figure adulte e quindi di inferiorità. Un piccolo tra i grandi che vive in condizione di grande vulnerabilità con i genitori, che, di regola non sono mai perfetti. Nelle vicende della crescita il sentirsi piccolo e inferiore può essere superato, ma può anche accadere che si radichi nelle impressioni profonde e apra la porta a sentimenti di inadeguatezza che, con il tempo, possono diventare minacce all’autostima. Ciò che Adler intuisce è che sentimenti di questo genere spingono ad arretrare, a non affrontare la vita bloccando la naturale propensione all'evoluzione e all'utilizzo positivo delle energie per realizzare i progetti di vita. Il sentimento di inferiorità, se non correttamente superato, può dar origine a dinamiche che aprono la strada ai disturbi emotivi, che possono assumere gli aspetti di una vera e propria psicopatologia. Nelle psicoterapia si constata con frequenza che i pazienti, anche se mostrano apparenti sicurezze, tendono a rifiutare gli impegni della vita. Magari mascherano le proprie fragilità, i timori di fallire con atteggiamenti che compensano le insicurezze interiori. Adler vede nella psicoterapia l’occasione di far emergere la fiducia in sé attraverso il graduale riconoscimento dei vissuti di inferiorità. La relazione con il terapeuta che deve essere improntata con atteggiamenti incoraggianti, che rispettano sempre i tempi di maturazione del paziente.

Un costrutto teorico che sottolinea l’originalità di Adler è il concetto di sentimento sociale. Anche in questo caso Adler muove dall’ordinaria constatazione aristotelica che l’uomo è un “animale sociale” e che le relazioni con gli altri uomini non sono marginali nell’economia psichica del singolo, ma sono una parte altamente significativa. Per sentimento sociale nella sua forma matura, Adler intendeva la capacità di “riconoscere” la realtà dell’altro con tutte le caratteristiche che rende ciascuno unico e irripetibile, di essere capaci di “rispettare” le differenze, di “sentirsi” in relazione e di “provare” le emozioni che l’altro vive. Si tratta di una ricchezza interiore che permettere di vivere rapporti sereni e costruttivi con gli altri, di sentirli alleati e non competitori pronti a schiacciarci. Quando invece il sentimento sociale è carente, il funzionamento psichico diventa problematico. Seguendo numerosi casi Adler andò sempre più convincendosi che uno sviluppo imperfetto del sentimento sociale rinforza l’inclinazione all’indifferenza, all’ostilità verso e può condurre alla chiusura narcisistica. Una psicoterapia deve sempre avere tra i suoi obiettivi l’identificazione degli ostacoli che hanno impedito lo sviluppo del sentimento sociale, favorire il suo recupero e alimentare il suo sviluppo.

Per curare i disturbi psicologici è necessario avere un modello dell’uomo sano. A questo proposito Adler aveva le idee chiare. Un uomo è sano se riesce ad attingere alle proprie energie interiori e le sa usare per portare avanti i progetti personali per il proprio benessere e per le persone che ha intorno (dal partner di coppia, alla famiglia, alla comunità di riferimento). Il benessere degli altri può essere cercato ampliando il raggio di azione fino al punto che le energie e le risorse lo consentono. Ovviamente Adler non si limita a questa indicazione generica: identifica tre spazi esistenziali che definiscono gli ambiti di impegno delle energie e la progettualità personale. Adler li definisce “compiti vitali” sottolineando con l’espressione scelta che gli uomini non possono sottrarsi alle responsabilità verso la vita. I “compiti” sono:

- Compito vitale dell’amore. L’uomo deve vivere in coppia e portare avanti l’umanità dando la vita alle nuove generazioni. Questa responsabilità, per essere adeguatamente assolta richiede un livello adeguato di sentimento sociale perché è uno spazio di relazione che richiede la costante attenzione all’altro, sia esso partner della coppia o i figli. L’uomo sano porta energia alla vita della coppia e della famiglia e tradurre in pratica le logiche della dedizione, dell’altruismo, dell’amore.

- Compito vitale del lavoro. Le attività lavorative costituiscono la distribuzione dei compiti perché la società possa progredire. Ciascuno deve fare la sua parte, procurarsi le giuste soddisfazioni, il sostentamento materiale e al tempo stesso contribuire al benessere degli altri, dell’organizzazione e dell’intera società.

- Compito vitale della partecipazione alla vita della comunità. Adler dava molta importanza al sentirsi parte della comunità a cui si appartiene e all’avere verso la stessa un atteggiamento di costruttiva disponibilità alla collaborazione. Interessarsi a ciò che accade, a quale contributo ciascuno può dare, piccolo o grande che sia, è un compito fondamentale a cui non ci si deve sottrarre.

Le note qui presentate non sono ovviamente esaustive: sono spunti per suscitare curiosità verso la Psicologia Individuale. Spero che lo scopo sia raggiunto e in lettore si senta interessato a conoscere meglio questo sistema teorico che si muove sempre su concetti all’apparenza semplici ma che si rilevano porte di accesso a visioni profonde del funzionamento della nostra mente. Questo è il fascino della Psicologia Individuale. 

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