Noi adulti nel tempo della pandemia: la psiche e la realtà
Un werbinar quello di mercoledì 29 aprile ore 18.00, che tratta le principali questioni emotive che l'individuo affronta in questo periodo di forzato isolamento.
E’ certo che il termine “crisi” sia stato, dopo l’inizio della pandemia, ampiamente usato in tutte le conversazioni, sia pubbliche che private. La parola è sempre stata usata per evocare le difficoltà, i pericoli difficilmente controllabili e le risposte insufficienti per affrontare la grandi emergenza in atto. Tuttavia il termine “crisi” contiene anche un altro significato, meno immediato nella percezione corrente, ma importante nella dinamica dei fatti: evoca la possibilità di trovare soluzioni, di esercitare la creatività per fronteggiare nuove configurazioni della realtà. Questo doppio significato è acquisito in alcune lingue, il cinese ad esempio, che usano la parola “crisi” per esprimere il pericolo e le possibilità.
Nell’esperienza della pandemia, con i limiti che ha imposto, il pericolo ha assunto diversi aspetti: ha riguardato la salute personale, fisica e psicologica, ha scosso gli equilibri relazionali e familiari, ha complicato l’organizzazione del tessuto economico delle comunità e la sicurezza del posto di lavoro. L’altro versante, quello delle possibilità, si è declinato con la progressiva scoperta di come proteggerci dai rischi, come vivere l’isolamento, come dedicare del tempo a noi stessi, come mantenere i contatti sociali e come lavorare in smart working. Di fatto le persone sono state costrette a scoprire il valore di azioni e modi di essere che hanno aperto a nuove esperienze, a nuove possibilità di risolvere i problemi.
Con quale assetto psicologico gli individui si sono relazionati alle nuove condizioni improvvisamente piombate nella vita? Come le due facce del termine crisi, anche la reazione degli individui ha seguito due opposti modi di rapportarsi alla realtà; la maggior parte delle persone sembra essersi adagiata sul polo dell’accettazione passiva mentre un sottogruppo, forse minoritario, sembra si sia attestato su una posizione impegnata, alla ricerca di soluzioni innovative per fronteggiare le difficoltà. Ovviamente la distinzione così schematica va sfumata con l’idea che, in momenti o situazioni particolari, individui possono temporaneamente cambiare il registro dei loro atteggiamenti
L’accettazione delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, adeguata al senso civico, non va confusa con la passività; questa posizione si è osservata nell’atteggiamento di attesa, nella sola speranza di veder presto la fine delle difficoltà e il un conseguente ritorno alla normalità. Chi ha coltivato questo assetto mentale ha pensato all’isolamento come a un di vivere nel “limbo”, in una sorta di sospensione in attesa e che presto o tardi, la vita avrebbe ripreso il suo corso. I primi periodi dell’isolamento, nel comprensibile generale disorientamento, sono stati vissuti come interruzioni in parte anche gradevoli, spazi che consentivano il riempire le giornate di tanti piccoli impegni da tempo trascurati, quasi a voler negare, per sopportarle meglio, le inquietudini di un futuro incerto.
La seconda strada, forse intrapresa da una minoranza di persone, è stata all’opposto: è stata quella che ha visto dare concretezza a una disposizione d’animo orientata a una costruttiva accettazione della realtà. Senza negare l’esistenza delle criticità, la cui punta massima era rappresentata della situazione sanitaria, l’atteggiamento si è orientato a vivere il presente, nella convinzione che il quotidiano non rappresentava una pausa allo scorrere della vita, ma la vita stessa. Certamente l’attesa del futuro che si ri-presenterà con fisionomie oggi non prevedibili non era svanita; persisteva senza avere carattere di centralità. In questo orientamento mentale, la chiusura delle scuole, i figli a casa da seguire negli apprendimenti, l’isolamento protettivo, l’assenza di vicinanza fisica con gli altri, la sospensione delle attività economiche, non sono realtà vissute come un limbo, ma come occasione per trovare nuove forme di adattamento. Utilizzare la creatività superando schemi mentali non più rispondenti, gestire le insicurezze e le incertezze emotive, mettere da parte progetti oggi irrealizzabili e scoprire modi diversi per stare assieme: queste sono state le possibilità che hanno arricchito la vita di coloro che hanno reagito attivamente.
Per chi non si è lasciato emotivamente sopraffare dalle difficoltà, la quarantena che stiamo vivendo ha fatto intuire che si può vivere in modi diversi. Ha fatto avvertire spinte a valorizzare dimensioni dell’esistenza a cui veniva dedicato poco spazio e ritagli di tempo. Il focus dell’attenzione è andato al rapporto con sé stessi, con le proprie passioni, alle relazioni sociali e affettive che meritano di essere curate con più convinzione e impegno. Un’alba di nuove consapevolezze, capaci di suscitare emozioni, sentimenti e progetti di cambiamento. A pensarsi diversi nel futuro, capitalizzando un’esperienza così nuova per tutti.
Ma la sola pressione emotiva del momento, per quanto stimolante, non è sufficiente a radicare e consolidare il cambiamento. Il rischio che il ritorno, più o meno imminente, a ritmi di vita più accelerati sciolga le buone intenzioni e la relativa spinta al cambiamento è una possibilità che non va trascurata. E’ importante non perdere le spinte al cambiamento e soprattutto non dimenticare che le buone idee restano tali solo se vengono tradotte in azione. Solo così la vittoria sulla passività consentirà di pensare che questa drammatica esperienza non ha portato solo inquietudini e dolore, ma ha anche fatto maturare nuove consapevolezze. La speranza che tanti possano dirsi che questa pandemia mi ha reso migliore. Non importa di quanto.
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