Sistema immunitario baricentro della vita: ciò che lo psicologo deve sapere

  • Venerdì, 18 Gennaio 2019 dalle 15:00 Fino a 19:00
Tadolini Gianni

Sarà un incontro di grande utilità per gli psicologi che necessitano di conoscenze tradizionalmente legate all'ambito della medicina ma estremamente utili per capire la profonda interconnessione tra la mente e il corpo e in quale misura il sistema immunitario, così prezioso per gli equilibri della vita è fortemente interrelato con l'intero sistema psichico.

Incontro raccomandato a Laureati e laurendi in Psicologia e medicina che stanno valutando il percorso di specializzazione in Psicoterapia.

Il sistema immunitario può essere considerato come un “apparato sentinella”, cioè una complessa struttura che governa la relazione tra molte specie viventi ed il mondo ad esse esterno, permettendo di disegnare il confine fra ciò che è il Sé e l'ambiente fuori di sé. Non solo è quel sistema che consente di far fronte alle vere e proprie aggressioni che quotidianamente e continuamente ci vengono rivolte (virus, batteri ed agenti infettivi), ma anche agli stress emotivi, alle difficoltà di relazione con gli altri, all'inquinamento ambientale, alimentare, elettromagnetico.

 

 

La complessità che caratterizza l'uomo e molti animali si esprime ai massimi livelli in questo articolato sistema nel quale tutte le componenti devono essere in equilibrio per mantenere quell'armonia il cui effetto è proprio l'essere in salute.

Molto abbiamo imparato in questi anni: ad esempio, come la psiche giochi un ruolo importante nella neuroinfiammazione e come serenità o turbamento possano portare l'individuo verso una condizione di armonia e benessere o, viceversa, verso uno stato di alterazione della bilancia immunitaria. Questo può essere tale da determinare, progressivamente nel tempo, una cascata di eventi clinici, a partire da infezioni ripetute, fino al manifestarsi di quadri di autoimmunità, se non addirittura quelli degenerativi delle patologie tumorali.

Ed ecco il ruolo dello psicologo. Se si vuole evitare questa inesorabile progressione – al di là di un opportuno approccio farmacologico – sarà importante cercare in profondità nel vissuto della persona, negli eventi esistenziali che hanno determinato antiche ferite e che permangono come cicatrici dell'anima. Sappiamo che esse, nei meccanismi oramai abbastanza noti dell'epigenetica, hanno condotto a quella sequenza di fatti ed eventi psicologici che possiamo notare nei racconti dei malati di patologie autoimmuni che si recano ai nostri ambulatori.

Nell’approccio classico medico/paziente nessuno dei due attori si rende conto di questa chiara progressione, dato che quasi mai viene descritta in maniera il lineare. Ma crediamo che il compito imprescindibile di una medicina moderna ed efficace sia comunque quello di informare gli utenti della medicina stessa di queste nuove conoscenze, ponendoli sulla strada del ritrovamento dell'equilibrio.

Obiettivo elevato, ma non impossibile, è quello di stimolare il paziente portatore di malattia organica ad una collaborazione più attiva, verso un corretto stile di vita, verso la conquista di un equilibrio psicologico, con attenzione ai segnali che il corpo invia continuamente: insegnare al paziente ad interpretare i sintomi, non tanto come stato di “malattia” nel senso banale del termine, bensì come vere e proprie spie che si accendono nella “centralina” della corporeità per comunicare quello che non sta andando bene e quindi ciò che dovremmo modificare.

La scienza psicosomatica insegna che il corpo umano risponde spesso agli stimoli psicologici come se fossero eventi materiali, tangibili, tattili; un pericolo solamente emotivo viene interpretato dall'organismo come un attacco reale. L'essere biologico può vivere il pericolo simbolico alla stregua di uno reale; la cascata chimica e funzionale nell'organismo sarà del tutto simile a quella che si sarebbe verificata se al posto di un'emozione fastidiosa di paura ci fosse stato il terrore per l'attacco reale di un avversario in carne ed ossa o di una belva feroce, come poteva avvenire nel Cenozoico preistorico.

Si attiveranno dunque tutti quei meccanismi neurotrasmettitoriali che governano le dinamiche di attacco e fuga. Questo perché il nostro organismo ha imparato a reagire ai pericoli già centinaia di migliaia di anni fa (quando le situazioni critiche erano totalmente pre-culturali) e sulla base di questo arcaico apprendimento ha modellato un proprio paradigma biologico e biochimico.

Dovremmo quindi aiutare il paziente a recuperare il trauma simbolico e forse troveremo nei sintomi e nelle disfunzioni della patologia di oggi le ferite della storia della specie: la paura di essere aggrediti, abbandonati, rifiutati, divorati; la paura di morire di fame e di freddo; la paura di non farcela nel combattimento; il desiderio di vincere, di dominare, di fuggire, di primeggiare o di rinunciare e scegliere il gregariato. Ciò che avveniva nell'organismo dell'Uomo di Neanderthal, 100.000 anni fa, è più o meno ciò che avviene in quello dell'uomo del nostro tempo.

Tali considerazioni ci consentono di inquadrare meglio il concetto stesso di risposta immunitaria e parallelamente di estendere quello di aggressore: nel linguaggio dell'immunologia il concetto di antigene. L'organismo conosce il codice simbolico.

Questo tipo di approccio – capace di valutare il conflitto psicologico come biologico e viceversa – porta sulla strada della comprensione di malattie che, ad un primo approccio, possono sembrare ben poco psicologiche, cosicché la riappropriazione dell'attacco subito da parte del soggetto possa essere l'inizio di una nuova riconfigurazione del profilo vitale.

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